Due piacevoli giornate alla Biennale dell’Architettura di Venezia, insieme al nostro cliente Mengucci Costruzioni, ci hanno permesso di conoscere Renata Codello, Sovrintendente della città lagunare. Un’occasione ghiotta per proporre un’intervista.
L’immenso patrimonio di bellezze italiane va recuperato e conservato. E fino a qui siamo tutti d’accordo. Malgrado i gravi problemi di tenuta che mostrano i nostri beni architettonici. Ma non ci si può fermare qui. Occorre pensare di andare oltre e vedere se si può avere un’interazione importante tra più soggetti per la valorizzazione di molta parte del patrimonio.
È una sfida che coinvolge tutti: l’Ente pubblico e i suoi amministratori, il mondo accademico, il mercato, i professionisti dell’architettura, le aziende e gli imprenditori. Purché si voglia cambiare modo di vedere e si mettano in campo tutte le risorse, non solo economiche, ma anche intellettuali.
Del resto la domanda fondamentale è: come è nato questo grande patrimonio? Non solo dal genio di artisti immortali, ma anche da un humus culturale che ha permeato città, governi, arenghi e senati. Tutti intenti a guardare oltre e a lasciare un segno.
E’ con questi pensieri che Mengucci Costruzioni ha realizzato, insieme a Spacelab, “The State of Exception”, uno spazio che abbiamo gestito per due giornate, grazie alla disponibilità della Biennale Architettura di Venezia. Mengucci Costruzioni è stato tra i protagonisti e i promotori del dibattito sul futuro della conservazione dei beni di architettura e artistici. Tra gli autorevoli interventi segnaliamo quello di Renata Codello, Sovrintendente ai beni artistici e architettonici di Venezia, che ha concesso a Gianni Moreschi l’intervista che pubblichiamo qui sotto, ulteriore contributo a un dibattito che sta crescendo.
Con l’attuale assetto di norme è possibile ipotizzare un intervento sui nostri beni inseriti nel proprio contesto ambientale?
Sono convinta di sì. Lo dimostrano le decine di interventi fatti a Venezia negli ultimi anni. La punta della Dogana con Tadao Ando; la nuova biblioteca d’arte alla fondazione Cini con Michele De Lucchi; L’auditorium di Mario Botta alla Fondazione Querini Stampalia e Renzo Piano alla fondazione Vedova; Ma anche Francesco Magnani nella Torre di Porta Nuova all’arsenale e Cappai e Segantini con il nuovo depuratore a Sant’Erasmo. L’elenco è ancora lungo, sono circa 30 nuovi interventi. dunque si può.
Se non è solotanto un fatto legislativo dove dovremmo incidere secondo Lei? Sulla cultura o sugli interessi dei target: Enti, Imprese, Mercato?
Mi sento di dire che il mondo della cultura è più pronto di quanto si creda, almeno quello dell’architettura. Occorre, invece, lavorare perchè il mondo degli imprenditori comprenda meglio che occorre alzare il livello della qualità delle iniziative e dei prodotti. Mi riferisco a entrambi, ricompresi in un contesto produttivo più ampio che metta in conto il breve, ma anche il medio e lungo periodo per il ritorno degli investimenti. Un esempio è quello di Prada: da tempo coniugano la cultura con la produzione e il mercato li ricambia molto bene. Altro esempio è Della Valle con il Colosseo.
E’ possibile pensare a un movimento di idee nuove che parta dalle Sovrintendenze che fungerebbero da stimolatori e facilitatori per la valorizzazione e l’ammodernamento del patrimonio?
Questo è un punto cruciale. Personalmente sono del parere che la grande conoscenza che le soprintendenze hanno del territorio dovrebbe essere usata anche in senso propositivo e non limitarsi all’approvazione o al diniego di progetti. Occorre riconoscere che gli uffici di tutela sono “terzi” rispetto agli interessi dei privati e quindi possono portare il contributo di chi rappresenta la collettività, i fruitori dei beni. Si tratta di spostare il piano del ragionamento dal “fare” o “negare” a come si può fare al meglio gli interventi unendo le competenze. Anche le università dovrebbero fare uno sforzo maggiore per mettere a disposizione le loro specialità, dotandosi di percorsi formativi più concreti e dinamici. Le nuove generazioni sono capaci di decifrare molto meglio la complessità del reale e sono naturalmente proiettate al futuro. Per fare questo, penso che si possano individuare passaggi burocratici “topici” e decisionali chiari, univoci, che non inneschino continui processi di ricorsi amministrativi che vedono istituzioni e privati su fronti opposti. Non è facile, ma sarebbe una sfida entusiasmante.