Festival del Giornalismo, si parla di “Brand Journalism. L’impresa come media company è già realtà”

15th Aprile 2018

“Brand Journalism. L’impresa come media company è già realtà” è il tema su cui si sono confrontati durante il Festival  Internazionale del Giornalismo, a Perugia,  alcune delle figure  che si occupano oggi  di testate aziendali e di produzione di contenuti informativi,  in una realtà che ha assistito ad una rivoluzione dei media e ad un  rapporto sempre più stretto e intenso tra mondo dei media e mondo delle aziende.

E’ un bene o un male ciò che si sta verificando nel mondo dell’informazione e dei media? L’informazione è davvero oggi più libera, democratica ed affidabile?

La frase ormai storica coniata dal fondatore di Microsoft, Bill Gates -che per primo affermò in un suo scritto del 1996 “ Content is the king” intendendo che il contenuto di valore con l’avvento di internet sarebbe diventato sempre più protagonista ed importante,- che cosa rappresenta oggi, a distanza di alcuni anni, anche considerato che nel tempo del web un anno pare infinitamente più lungo rispetto al tempo reale? Ne hanno parlato sul palco della sala Priori dell’Hotel Brufani, a Perugia, Diomira Cennamo, direttore scientifico di Brand Reporter Lab, osservatorio che si occupa di analisi sul mondo delle Media Company; Carlo Fornaro  CEO dell’Osservatorio Brand Reporter Lab; Massimo Gaggi, editorialista del Corriere della Sera, esperto di rivoluzione digitale e delle sue implicazioni  per il mondo dell’informazione; Tomas Kellner direttore GE Reports. Editor in Chief di General Elettrics, che redige un giornale che ha 10 anni  di vita e Fernando Vacarini,  direttore responsabile di Changes, testata di Unipool.

Insieme hanno cercato di rispondere alle domande sul valore e ruolo dei contenuti prodotti dalle aziende e in particolare, analizzando esperienze importanti come quelle della General Elettrics ci si è chiesti  “come agisce un’organizzazione che vuole essere una media company pur non operando in ambito editoriale? Quali sono i vantaggi che ne trae all’interno e verso suoi interlocutori di riferimento? Quale tipo di relazione e collaborazione può imbastire con i media tradizionali?”

Ha aperto la discussione Massimo Gaggi, che ha voluto ricordare le implicazioni sulla privacy legate alle nuove tecnologie digitali. E infatti ’ proprio di attualità questi giorni il dibattito sul ruolo che i social media hanno acquisito nella società ed il modo in cui trattano i dati che sono nella loro disponibilità.

Riguardo al tema dell’informazione, secondo Gaggi,   fino ad oggi erano le testate dell’informazione a rappresentare e a contribuire a formare l’opinione pubblica, mentre  oggi sono sotto gli occhi di tutti i cambiamenti dell’ecosistema dell’ informazione,  che è diventata sempre più multipiattaforma, sia con la moltiplicazione dei canali, dei media e delle voci, sia con la disintermediazione dei sistemi dell’informazione e la nascita del citizen journalism.  Insieme a questi cambiamenti, che modificano anche l’approccio con i lettori,  è evidente che sempre più spesso le testate si trovano in difficoltà a sostenersi solo con la pubblicità ed occorre ricorrere a finanziamenti esterni.  Ecco quindi Jeff Bezos con il sostegno al Washington Post, e la vedova di Steve Jobs Laurene Powell che diventa azionista di maggioranza attraverso la sua organizzazione filantropica Emerson Collective della storica rivista americana The Atlantic. Investimenti che negli Stati Uniti, a differenza che in Italia, sono favoriti anche dalla detassazione.

Oggi  grazie alle nuove tecnologie, sempre più le aziende sono in grado di creare organizzazioni capaci  di fornire contenuti con informazioni e approfondimenti, anche su tematiche generali e  di interesse della collettività, andando oltre al semplice bollettino aziendale.  Si assiste così alla nascita di testate le cui redazioni sono collegate ad organismi aziendali oppure  si assiste alla nascita di forme miste dove si crea collaborazione fra  testate media ed  alcune aziende per organizzare iniziative speciali che abbiano un loro valore informativo. Se da un lato questo sostegno è importante per sostenere le iniziative stesse, dall’altro quando si parla di “brand journalism” occorre affrontare il problema della credibilità dell’informazione, ovvero del valore del patrimonio informativo degli approfondimenti che gli organismi aziendali possono offrire al pubblico ed  occorre interrogarsi sull’ autorevolezza del brand e su cosa effettivamente rappresenta oggi nella mente del lettore. Occorre considerare l’interesse fisiologico a difendere il brand sostenitore da parte del giornalista, anche professionista, se legato in qualche modo al brand. La credibilità è e rimane fondamentale perché l’informazione sia considerata tale e sia considerata valida, anzi è proprio la credibilità il vero patrimonio di una testata e rappresenta il suo valore distintivo.  Proprio in quest’ottica Alberto Pulifiato, nel suo libro “Dal giornalismo al digital content management” si è dichiarato contrario all’utilizzo del termine “brand journalism” preferendo invece parlare di branded content o di content marketing, nell’assoluta garanzia verso il lettore e nell’assoluto rispetto del patto di fiducia con esso. Se, come scrive Gasser “ il compito di giudicare la qualità diventa sempre più difficile dal punto di vista cognitivo, con l’aumentare della complessità dell’informazione” per i giornalisti, scrive Pulifiato, è qualità “l’ informazione rispettosa della verità sostanziale dei fatti, corretta, esposta con un linguaggio consono, senza esagerazioni, con le opinioni nettamente separate dai fatti, frutto di ricerche accurate, di selezione delle fonti, di verifiche e gerarchizzazione delle notizie”. E il tema della correttezza delle informazioni è uno dei temi con cui ci si confronta purtroppo troppo spesso sul web.

Di questo ha parlato anche Tomas Kellner , direttore di GE Reports ed. Editor in Chief di General Elettrics. Kellner, dopo una carriera da giornalista indipendente  redige oggi un giornale che ha 10 anni di vita e vive all’interno della General Elettrics. La testata, prevalentemente di carattere tecnico oggi è “talmente accreditata che alcune delle informazioni diffuse  sono spesso riprese anche dalle grandi testate generaliste, che ne riconoscono il valore”.

“II valore chiave è la trasparenza e la credibilità”, – afferma Kellner – “e la fiducia è alla base del rapporto fra lettore e testata. GE Reports” – racconta Kellner- “è nato nel 20008, durante la crisi finanziaria che aveva coinvolto anche la General Elettric e proprio a seguito della necessità di informare gli investitori, i media, gli stessi dipendenti e tutti gli stakeholders,  su quello che stava succedendo all’interno della compagnia.  In questo senso fu un po’ pioneristica” – si compiace Kellner- “e successivamente si è evoluta, grazie anche alla formazione scientifica del direttore responsabile, che aveva lavorato tra l’altro anche alla rivista Forbes”

“Nel momento in cui si crea informazione di valore si va infatti a realizzare qualcosa di importante per il lettore” prosegue Kellner” L’informazione di valore è spesso veicolata grazie agli approfondimenti di giornalisti professionisti che analizzano argomenti nuovi, e raccontano storie  non ancora conosciute dal pubblico, ad esempio relativamente alla ricerca scientifica e alle innovazioni tecnologiche o ai nuovi prodotti. Spesso i contenuti scientifici  vengono spiegati in modo da essere facilmente comprensibili al lettore e rappresentano quindi una fonte primaria di informazione sulle innovazioni di prodotto.  La testata è diventata oggi un Benchmark internazionale.”

Non solo i contenuti ma anche i formati con cui sono diffusi i contenuti stessi sono pensati per essere fruibili. “ E’ utile convertire i contenuti in video” afferma Kellner. Con riferimento alla produzione media sottolinea che dallo storytelling delle innovazioni e delle produzioni più interessanti sono nati video che vivono di vita loro sui canali social e tengono conto del modo in cui oggi il pubblico “consuma” informazione. I contenuti oggi devono essere distribuiti e disponibili nei modi e anche sule piattaforme dove il pubblico preferibilmente e più agevolmente ne fruisce.  Autenticità e immediatezza sono fondamentali per coinvolgere.

Anche il gruppo Unipol in Italia ha avviato un progetto analogo, per quanto molto più recente.” Il contenuto è stato messo al centro del sistema di informazione, partendo dal blog e declinandolo con le modalità tipiche delle diverse piattaforme” Spiega Fernando Vacarini,  direttore responsabile di Changes, testata di Unipool “ Si è scelto come tema centrale quello dei rischi emergenti in relazioni ai cambiamenti tecnologici e sociali in atto, ospitando interventi di grande spessore. E’ la qualità dei contenuti il cuore del lavoro . Contenuti di qualità restano comunque validi “ conclude Vacarini “  in  qualunque forma e piattaforma essi siano declinati e forniti. Punto di forza è  il rispetto delle regole deontologiche, proprie delle testate professionali. Si è arrivati poi anche alla pubblicazione monografica ogni sei mesi, per andare incontro a chi ancora preferisce il cartaceo rispetto al digitale.”

Diomira Cennamo, direttore scientifico di Brand Reporter Lab, un osservatorio nato a seguito della pubblicazione del libro “Professione brand reporter”  che si occupa di analisi sul mondo delle Media Company – riconosce a pieno diritto il brand journalism come una nuova voce del sistema dell’informazione.   “Da grande realtà multinazionali a realtà più piccole sempre più spesso si crea valore attraverso questa attività” afferma la Cennamo ” Analizzando le esperienze di successo per le quali sempre più è importante trovare termini di misurazione univoci, si osserva come è importante che vengano coinvolte figure professionali esperte, e che si pensi in termini di ecosistema e di impatto dell’informazione sulla società. Le aziende stesse possono diventare fonti utili di creazione di notizie, qualora esista un dialogo fruttuoso e aperto  tra le pluralità. Una volta usciti dal mito dell’oggettività, poiché esiste sempre un punto di vista, diventa la trasparenza la nuova frontiera.   L’interazione con gli utenti e la cocreazione diventa per i brand la nuova sfida”.

La professionalità del giornalista rimane il fulcro di un’attività che vede cambiare riferimenti e piattaforme, ma non può prescindere  dalla credibilità e dal valore dei contenuti. Tra i punti emersi, con riguardo alla funzione di informazione assunta dai social si rileva che spesso le piattaforme social non consentono una misurazione dei dati  dei lettori, non più legati alla copia fisica della testata e per questo  rispondono meglio le piattaforme proprietarie. Rimane il tema della “serendipity”, per cui si leggono notizie di cui non si stava andando in cerca in quel momento.  A sorpresa  viene confermato  l’amore per la carta stampata nell’era dei media digitali.

Per chi volesse seguire il panel integrale a questo link

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